domenica 22 novembre 2015

Muri vuoti

Un muro liscio, grigio, con un buco che si vede appena. 
E poi un altro muro, vuoto. E un altro. E un altro. E un altro. Quindici volte.
E ogni volta, a guardarli, mettono una pena infinita. 

Chi ha subito un furto lo sa, come ci si sente. Rabbia, impotenza, tristezza, violazione. Quando qualcuno ti entra in casa mentre tu non ci sei, rompendo un vetro e frugando tra le tue cose, non ti ruba solo degli oggetti. Ruba un pezzo della tua memoria, della tua vita, della tua anima.
E tu non perdi solo un oggetto, perdi un legame con quello che gli oggetti rappresentano per te. Pezzi della tua vita.

Castelvecchio è il nostro museo. Ce ne sono tanti altri, con opere importanti, ma Castelvecchio è il nostro museo. 
È il nostro gioiello, l’abbiamo curato e restaurato e ci abbiamo lavorato e ci abbiamo messo dentro l’anima.
Per questo tutti noi, veronesi, ci sentiamo derubati personalmente, come se fossero entrati in casa nostra. E lo so che il museo è patrimonio di tutti noi italiani, che tutti gli italiani dovrebbero sentirsi, e forse si sentono, derubati. 
Ma per i veronesi è diverso.
Ci hanno portato via alcune delle nostre cose più care, ci hanno strappato pezzi della nostra memoria storica e personale.

Ci andavo con il papà, che mi raccontava tutto dei quadri e delle statue, e io lo seguivo nelle sale vuote di gente e piene di storia, e lui mi teneva per mano e qualche volta non diceva niente, e stavamo a guardare quella Madonna dolcissima e triste, e papà mi faceva notare quell’uccello ai piedi della Madonna, è una quaglia, diceva, una di quelle buone cotte col vino. E quel ragazzino coi capelli rossi, guarda come sorride, mi diceva, mostra un disegno al suo papà, se anche tu fai un disegno per il tuo papà poi il tuo papà lo mette in studio attaccato al muro. Era piccolo, quel quadro, ma è importante, sai, diceva papà, l’ha dipinto un pittore veronese, per questo ci teniamo tanto, si chiama Caroto, Giovanni Francesco Caroto. E io ho pensato che forse era una femmina, non un maschio, quella che sorrideva al suo papà, perché aveva i capelli lunghi fino alle spalle, e ho pensato anche che non l’avrei mai dimenticato, quel nome, perché quel ragazzino che sembrava una bambina aveva i capelli rossi rossi, come una carota.
E com’era bello camminare nelle sale grandi, luminose, con i muri dritti e il non-colore che ti fa sentire la grandezza di ogni statua, di ogni quadro, e poi all’improvviso un muro arancione, e un buco nel muro da cui puoi vedere fuori un pezzo del giardino e della fontana.

E sembrava inespugnabile, il nostro Castelvecchio, la fortezza scaligera con il ponte levatoio e le mura merlate e le torri di guardia e tutto quel cemento e quell’acciaio che Scarpa ci aveva messo a tenere strette le sue tele. 
Sembrava inespugnabile, e Cangrande s’era pure levato l’elmo e lo teneva poggiato sulla schiena, come un cowboy sul suo cavallo bardato, e sorrideva dall’alto, guardando come era bello, adesso, il suo castello, in tempo di pace, con dentro tutti quei dipinti che hanno attraversato la storia, e quei turisti affascinati dall'architettura, e quei bambini a far cucù tra i merli e quella tranquillità che si respira dentro e fuori, come se fosse merito dell'arte se puoi sentirti in pace.
Ma forse non siamo in tempo di pace. 
E anche da qui le posso sentire, la rabbia e la tristezza dei veronesi nel guardare quei muri vuoti, che fanno sentire un vuoto dentro, perché sono la mia stessa rabbia, la mia stessa tristezza. 


mercoledì 18 novembre 2015

Chissà se funziona

Premessa.

Mi piace leggere. Adoro leggere. Fin da bambina ho sempre letto tanto, sono sempre stata circondata dai libri e trovo sia normale spendere soldi per comprare libri. Una casa senza libri è una casa senza anima. Per un certo periodo della mia vita, in verità, non ho avuto necessità di farlo, avendone così tanti a disposizione, a casa dei Wonderparents, da poter leggere per anni, ma questo è un altro discorso. 
Mi ricordo che tempo fa, passato quel periodo là, su una popolare via pedonale, alcuni ragazzi che cercavano di vendere certi abbonamenti per l'acquisto di libri chiedevano, come primo approccio, "quanti libri compri in un anno?", domanda alla quale facevo un po' fatica rispondere, perché mi toccava fare il calcolo, e insomma veniva fuori sempre più o meno una cinquantina, arrotondando (in eccesso o in difetto). E non sono neanche tanti, per alcuni. E poi dicevo che no, non volevo il loro abbonamento perché a me piace entrare in libreria. E insomma, a essere sincera mi piace anche, dato che ne ho la possibilità, entrare in libreria e comprare, toh, quattro, cinque, sei libri, dei miei autori preferiti, o anche di quelli consigliati, di cui ho letto una recensione oppure perché mi piace la copertina, ecco. Acquisti compulsivi, la verità.
C'è da dire però che non siamo mica tutti così, in famiglia. Qualcuno legge tanto, qualcuno poco, qualcuno niente. A proposito di quel discorso sull'influenza dell'ambiente eccetera.

Fine della premessa.


Questa è la settimana del libro, a scuola. Pullulano iniziative.

Lunedì, pigiama day. Vai a scuola senza vestirti, direttamente come sei quando ti alzi dal letto portando pure il peluche o la foretta*. Pare che la cosa faciliti la lettura. Immagino che sia per riprodurre l'atmosfera della quiete serale, quando normalmente si legge prima di dormire. Vi lascio immaginare la quiete.

Martedì, fiera del libro. Vai in giro per la scuola sventolando i tuoi remimbi per comprare uno due tre libri a caso, tipo l'ultimo libro di Barbie o una riproduzione cartacea dei Pirati dei Caraibi (fascino di Jack Sparrow). Data la premessa, purtroppo non posso dire nulla.

Mercoledì, giornata del travestimento. Vai a scuola vestito come un personaggio del tuo libro preferito, e con il tuo libro preferito. Segue sfilata. (E no, non puoi riciclare il vestito di halloween).

Giovedì, fiera del libro. Aridaje.

Venerdì, consegna della busta con i soldi raccolti le settimane precedenti, durante le quali un adulto a caso (nonni, dove siete?) si è impegnato a dare una mancia per ogni minuto (minuto!) che il pupillo ha speso a leggere. Più minuti, più soldi, più premi e cotillon. Grande festa. Finalità benefica, al solito.


Sto cercando di ricordare quando hanno avuto lezione per due giorni di fila.
Ma la vera domanda è: funzionerà? O è solo questione di carattere, di inclinazione personale? E soprattutto, voglio davvero una risposta?


*per i non veneti, guanciale

lunedì 9 novembre 2015

Due ore e 26 minuti

C'era un sacco di gente, ieri, alla International Shanghai Marathon.
Un fiume di persone con la maglietta gialla, che la Nike quest'anno le ha fatte tutte uguali, mica diverse per ogni corsa come l'altra volta.
Io ci ho fatto scrivere il mio nome cinese, dietro alla maglietta. Sai mai che qualcuno volesse seguirmi, almeno sapeva chi ero. 
E si correva bene, ieri, con l'aria frizzantina di mezzo autunno e tutti che ridevano e si divertivano, ché vabbè che correre è una cosa seria, ma mica bisogna per forza essere seri.
E lungo la strada, dietro le transenne, c'erano tanti bambini che allungavano la mano ed erano felici se passando la sfioravi, come se fossimo supereroi, e poi le cheerleaders con le magliette I Love SH, i ragazzi con le parrucche e i tamburi, le vecchiette in divisa rosa con le bacchette, tutti a gridare, a incitare, a farti ok con il pollice, e insomma a correre così ti pare di fare un'impresa, anche se corri solo la mezza maratona e a correre con te ci sono pure dei vecchietti.
E che bello correre in mezzo alla strada, guardare i grattacieli da un'altra prospettiva, ritrovarsi all'improvviso in strade conosciute che hai consumato a camminarci, e poi sorridere al fotografo che ti inquadra, e non la senti, la stanchezza, fino a dieci chilometri, e ti sembra strano ma hai ancora un sacco di fiato e voglia di correre, e corri con un sorriso stampato in faccia, e ancora stai bene a sedici chilometri, poi un po' senti la fatica nelle gambe, ma mancano solo cinque chilometri alla fine, e se provo a fermarmi le gambe si ribellano, sembra che non vogliano e quindi prendo bicchieri di gatorade al volo e continuo a correre, e bere correndo non è niente facile, e questo pezzetto di radice intrisa di salsa di soia è quasi buona, a mangiarla mentre mancano due chilometri, e no, non ci pensi proprio a fermarti, a camminare un po' come stanno facendo alcuni, sei quasi alla fine, e c'è un rettilineo con tutta la gente assiepata come nelle gare che vedi in tv, e tutti gridano e fanno il tifo proprio per te, per me, e quindi corro e c'è un arco con scritto finish e un mucchio di fotografi, e alla fine arrivo e smetto di correre. 
Mi hanno dato anche una medaglia. Sono cose.